Operano a contatto con i medici anche se – nell’immaginario collettivo – stando un passo indietro a loro. Sono vestiti di bianco ma hanno una divisa diversa dal camice che distingue i dottori.
Gli infermieri svolgono un lavoro essenziale ma nell’ipotetica graduatoria della riconoscenza per l’operato svolto ancora faticano a venire percepiti come professionisti importanti e indispensabili. Eppure sono loro, spesso, a mandare avanti i reparti sul piano operativo, a seguire costantemente i pazienti nell’arco della giornata e a somministrare le terapie a fronte di stipendi non elevati, con turni di lavoro spesso massacranti ma necessari per garantire l’operatività dei reparti alle prese con croniche carenze di orgnico. Se già oggi fare l’infermiere è una missione che richiede dedizione e spirito di sacrificio, le previsioni per i prossimi anni sono tutt’altro che rassicuranti: secondo uno studio della Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche, entro una decina di anni lasceranno il servizio almeno 100mila addetti.
Un’autentica emorragia cui la sanità pubblica difficilmente potrà rispondere se è vero che le università riescono a laureare ogni anno solo tra i 10 e i 12mila infermieri a fronte di un fabbisogno maggiore. Occorre insomma trovare nuovo personale adeguatamente formato ma per ora dalle corsie si continua a scappare e talvolta persino fuori confine.
Ma come invertire il trend e favorire l’ingresso di nuovi infermieri? Claudio Micalizio ne ha parlato con Maurizio Zega, Presidente Ordini Professioni Infermieristiche. Nella seconda parte di Extra, come ogni venerdi, spazio alle notizie dalla provincia di Viterbo: in collegamento Gaetano Alaimo, direttore NewTuscia.it