Nel dibattito sull’ennesimo autunno caldo della politica italiana, torna ad affacciarsi la possibilità di introdurre anche in Italia la settimana lavorativa corta, cioè un modello di organizzazione del lavoro che prevede la riduzione del numero dei giorni lavorativi, solitamente da cinque a quattro, mantenendo lo stesso monte ore settimanale o, in alcuni casi, riducendolo.

A lanciare la proposta sul tavolo del Governo è stata Filda, la Federazione Italiana Lavoratori Dipendenti Autonoma: in un recente incontro con i rappresentanti del ministero, la sigla sindacale è tornata a chiedere un intervento a sostegno degli stipendi, che in Italia restano tra i più bassi d’Europa, con la possibile introduzione di un salario minimo garantito e una ancora più coraggiosa rivisitazione del sistema organizzativo del mondo del lavoro con una settimana lavorativa di soli 4 giorni. In questa puntata di Extra, ospite di Claudio Micalizio c’è proprio Carmine Piccolo, segretario nazionale di Filda.

Ma in cosa consiste la settimana lavorativa corta? Questo nuovo schema organizzativo mira a migliorare l’equilibrio tra vita privata e professionale, ridurre lo stress e aumentare la produttività, offrendo ai lavoratori più tempo libero senza una riduzione dello stipendio. Le varianti più comuni prevedono una distribuzione diversa delle ore lavorative, concentrandole in meno giorni, oppure una riduzione effettiva delle ore lavorate a parità di retribuzione.

Negli ultimi anni, il dibattito sulla settimana lavorativa corta si è intensificato, alimentato da casi di successo in aziende e Paesi come l’Islanda, dove i dipendenti hanno registrato una maggiore soddisfazione e produttività. L’idea alla base di questo modello è che lavorare meno ore possa, controintuitivamente, portare a migliori performance, in quanto i lavoratori sono più motivati, riposati e mentalmente presenti. Inoltre, le aziende possono ridurre costi operativi legati, ad esempio, all’energia e alle infrastrutture.

Sul fronte dell’occupazione, la settimana corta potrebbe effettivamente contribuire a rilanciare il mercato del lavoro. Ridurre l’orario di lavoro senza abbassare gli stipendi potrebbe spingere le aziende ad assumere più personale per coprire i turni, creando nuove opportunità occupazionali. Inoltre, potrebbe diventare un incentivo per attrarre talenti, soprattutto tra le giovani generazioni, sempre più alla ricerca di flessibilità e benessere.

Tuttavia, ci sono anche sfide. In alcuni settori, come la sanità o i servizi pubblici, dove la presenza continua è essenziale, l’adozione di una settimana lavorativa corta potrebbe richiedere significativi adattamenti organizzativi e costi aggiuntivi. Anche le piccole e medie imprese potrebbero faticare a sostenere una riduzione delle ore di lavoro senza un aumento dei costi, rendendo la questione più complessa.

In conclusione, la settimana lavorativa corta rappresenta una possibile via per migliorare la qualità della vita dei lavoratori e potenzialmente rilanciare l’occupazione, ma la sua implementazione richiede un’attenta analisi delle specificità settoriali e delle conseguenze economiche. Le esperienze finora sono promettenti, ma una diffusione su larga scala necessiterà di ulteriori sperimentazioni e regolamentazioni adatte ai diversi contesti produttivi.