La tragedia di Cisterna di Latina dove Satnam Singh, un bracciante indiano di 31 anni, è morto perchè, dopo essere rimasto vittima di un grave incidente sul lavoro che gli ha strappato un braccio, è stato abbandonato dai colleghi sulla strada davanti a casa anziché chiamare i soccorsi che lo avrebbero portato subito in ospedale, ha riacceso i riflettori sulla piaga del caporalato: l’uomo lavorava in nero per tre euro l’ora e quindi, se si fosse lanciato subito l’allarme, l’azienda agricola avrebbe subito conseguenze.
Ora Governo, Regione Lazio e sindacati hanno denunciato la barbarie di quanto accaduto e in una serie di vertici e riunioni hanno preannunciato nuovi provvedimenti e un ulteriore giro di vite. Giusto e doveroso anche se stupisce che ancora una volta il registro operativo e comunicativo adottato per queste azioni sia quello dell’emergenza, quasi che i fatti drammatici avvenuti in provincia di Latina siano qualcosa di improvviso e inimmaginabile. E’ come se soltanto oggi ci si accorgesse del caporalato e dello sfruttamento che, anche senza una regia della criminalità organizzata, umilia e tratta alla stregua di schiavi lavoratori senza i quali l’attività agricola probabilmente non potrebbe neppure procedere.
E questo stupore stupisce, perchè il caporalato è un fenomeno già noto alle cronache ma anche ai libri di storia di un paese che, soprattutto in ambito agricolo ma non soltanto, ha per decenni sfruttato manodopera a basso costo spesso reclutata in contesti di povertà e disagio sociale. Libri e film in bianco e nero lo denunciano come un fenomeno del tutto naturale, un “male minore” da accettare in cambio del “privilegio” di avere un lavoro. E questo è avvenuto sempre, senza che ci fosse mai particolare attenzione, sdegno o rabbia nel dibattito politico e mediatico di questo paese.
Un punto di svolta, però, lo rappresenta un episodio avvenuto nel 1989 che ha il merito di aver quanto meno attirato l’attenzione dei mezzi di comunicazione e di una parte del sindacato: la morte di Jerry Essan Masslo nel 1989, un rifugiato sudafricano che lavorava come bracciante in condizioni disumane nelle campagne di Villa Literno in Campania, segnò un momento cruciale nella storia dell’immigrazione in Italia, portando alla luce la grave emarginazione e lo sfruttamento dei lavoratori stranieri. Perché questo caso fu importante? Qualche settimana prima di morire, l’uomo era stato intervistato in un servizio del Tg2 e aveva pronunciato frasi che, con il senno di poi, risultavano tristemente profetiche: “Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato e allora ci si accorgerà che esistiamo“. Il suo assassinio, avvenuto poco tempo durante un probabile tentativo di rapina che alcune persone incapucciate fecero all’interno del deposito dove dormivano una trentina di braccianti, suscitò una vasta reazione pubblica e politica, innescando una serie di manifestazioni e scioperi contro il razzismo e il caporalato.
La politica si mobilitò, recependo in tal senso gli appelli che da tempo i sindacati lanciavano contro un fenomeno diffuso ma non evidente. E così la legislazione italiana in materia di immigrazione subì diverse modifiche dopo il caso Masslo. La legge Martelli del 1990 riconobbe agli immigrati extraeuropei lo status di rifugiato, eliminando la limitazione geografica che aveva impedito a Masslo di ottenere l’asilo nonostante la persecuzione subita in Sudafrica. Tuttavia, la situazione rimase complessa con l’introduzione di ulteriori leggi, come la Bossi-Fini del 2002, che rese più restrittivi i criteri per il rilascio del permesso di soggiorno.
Nonostante queste riforme, il caporalato e lo sfruttamento continuano a essere diffusi. La legge 199 del 2016, nota come “legge anticaporalato”, è stata un importante passo avanti, ma i dati mostrano che il fenomeno è ancora molto presente. Tra il 2016 e il 2023, ci sono state 834 inchieste sullo sfruttamento dei lavoratori, con la maggior parte delle vittime che sono titolari di un permesso di soggiorno, indicando che la regolarità dei documenti non basta a garantire condizioni di lavoro dignitose.
Il lavoro irregolare resta prevalente in settori come l’agricoltura e il lavoro domestico, con percentuali preoccupanti di lavoratori in nero. Gli immigrati sono particolarmente vulnerabili, rappresentando l’86% delle vittime nelle inchieste sullo sfruttamento. La retribuzione media per i lavoratori extracomunitari è significativamente inferiore rispetto alla media nazionale, evidenziando ulteriormente la disparità e l’emarginazione che alimentano il caporalato.
Nel 2024, il caso di Satnam Singh, un bracciante indiano morto a Latina dopo un incidente sul lavoro, ha riportato all’attenzione pubblica le condizioni disumane dei lavoratori irregolari. Singh Eil lavorava in nero per un salario miserabile e, dopo l’incidente, il datore di lavoro lo portò a casa invece che in ospedale, ritardando soccorsi che avrebbero potuto salvargli la vita. Ma questa vicenda drammatica conferma anche e soprattutto come la piaga del caporalato sia presente nell’agricoltura di questi territori se è vero che, stando ad alcune stime circolate in queste ore, sarabbero 30mila gli irregolari impegnati clandestinamente nel settore.
Di questi temi parliamo in questa puntata di Extra, il programma di approfondimento quotidiano in onda su Radio Roma News Tv (canale 14 del digitale terrestre a Roma e nel Lazio): ospite di Claudio Micalizio, la segretaria regionale della Cisl Lazio, Rosita Pelecca, che da anni segue il fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori in tutti gli ambiti dell’economia.