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Le griffe della moda e il lavoro nero: anche nel made in Italy c’è caporalato? – Extra – Lunedì 29 aprile 2024

Caporalato e lavoro nero: potrebbero sembrare retaggio di un passato spazzato via dall’evoluzione sociale e dal progresso tecnologico e invece no, non è così.

Questi fenomeni resistono ancora oggi e possono essere presenti in una vasta gamma di settori, anche se poi sono particolarmente diffusi in quelli che coinvolgono lavoro manuale e poco qualificato: alcuni settori includono l’agricoltura, l’edilizia, il settore tessile e  dell’abbigliamento, il lavoro domestico, il settore della ristorazione e il lavoro stagionale ma, a dire il vero, il fenomeno del caporalato e del lavoro nero può manifestarsi più in generale in qualsiasi settore in cui esistono condizioni di vulnerabilità dei lavoratori e scarsa vigilanza delle autorità.

E la piaga non riguarda soltanto le economie emergenti, quei paesi cioè dove le condizioni di vita sono più precarie e dove la cultura dei diritti del lavoro è meno sviluppata. Al fenomeno non sono immuni neppure gli stati europei: non a caso mercoledì 24 aprile il Parlamento europeo ha approvato la nuova direttiva sulla “due diligence”, la cosiddetta “Corporate Sustainability Due Diligence directive“, che obbliga le aziende – a cominciare da quelle con mille dipendenti e un fatturato mondiale superiore a 450 milioni di euro- a mitigare il loro impatto negativo sui diritti umani.

Il provvedimento, che parallelamente comprende anche misure per il rispetto dell’ambiente, dice che ogni società deve vigilare affichè al proprio interno non ci sia sfruttamento del lavoro, impiego di minori e forme di schiavitù ma poi deve verificare anche in tutta la filiera produttiva, a cominciare dai fornitori che garantiscono parti di lavorazione.

Linea dura, dunque, contro le irregolarità più o meno diffuse e non fanno eccezione neppure le aziende che dovrebbero rappresentare l’eccellenza del made in Italy: la conferma è arrivata giusto poche settimane fa quando la cronaca ha portato alla luce il caso di due società collegate a marchi molto prestigiosi della moda – la Giorgio Armani Operations e in precedenza la Alviero Martini spa – che sono finite sotto inchiesta per presunto sfruttamento di alcune aziende che lavoravano in subappalto.

Complice la notorietà delle due griffe coinvolte, la vicenda ha avuto una vasta eco mediatica ma a quanto pare, secondo le denunce dei sindacati, questo modus operandi sarebbe più diffuso di quanto si può pensare: la “produzione clandestina”, come viene denominata, è una prassi abbastanza diffusa nel settore del tessile e dell’abbigliamento perché alcuni marchi possono subappaltare la produzione a fabbriche clandestine o non certificate, dove i lavoratori possono essere sfruttati con bassi salari, lunghe ore di lavoro e condizioni di lavoro pericolose.

E, contrariamente a quanto accadeva fino a qualche anno fa, non serve neanche delocalizzare queste produzioni nei paesi in via di sviluppo, dove spesso i lavoratori del settore tessile e dell’abbigliamento sono sottopagati rispetto alle ore effettivamente lavorate, senza contratti di lavoro regolari e senza ricevere i benefici previsti dalla legge, come ferie pagate e sicurezza sociale: questo contesto, ormai, viene ricreato anche in Italia dove operano aziende, spesso gestite da stranieri che impiegano personale straniero, che sfruttano i lavoratori applicando turni massacranti in barba alle regole di sicurezza e elargendo stipendi da fame.

Queste aziende entrano nella filiera29 produttiva anche di marchi prestigiosi spesso come subappalto rispetto ad una azienda fornitrice che si impegna nei confronti dell’azienda più importante a rispettare regole e diritti dei lavoratori ma che poi delega ad altre imprese che, di passaggio in passaggio, comprimono sempre più spese di produzione e dunque compensi e diritti per il lavoratori coinvolti.

A questo fenomeno è dedicata la puntata odierna di Extra, il programma quotidiano di informazione e approfondimento in onda ogni giorno alle 21.15 su Radio Roma News: ospite di Claudio Micalizio interviene Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti, la più grande alleanza del settore abbigliamento di sindacati e di organizzazioni non governative che si propone di migliorare le condizioni lavorative nel settore dell’abbigliamento.

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