Dei contratti di lavoro stipulati negli ultimi mesi a Roma, soltanto l’8% è a tempo indeterminato. E tra quelli a termine, talvolta le durate sono incredibilmente brevi: il 48% dei contratti a termine dura soltanto un giorno.
Sono i dati contenuti nel dossier realizzato da Cgil Roma – Lazio secondo cui nei principali centri della regione, ma soprattutto nella capitale, si osserva un aumento costante della precarietà lavorativa. Negli ultimi anni, il saldo tra i contratti attivati e quelli terminati è positivo, ma questa tendenza è principalmente dovuta proprio ai contratti a tempo determinato.
L’analisi del rapporto tra contratti a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato evidenzia una graduale diminuzione del lavoro stabile: i nuovi contratti a tempo indeterminato rappresentano solo il 9% nel Lazio, l’8% a Roma, il 15% nella Città Metropolitana di Roma, il 16% a Frosinone, il 7% a Latina, il 15% a Rieti e il 10% a Viterbo.
Inoltre, secondo il rapporto della Cgil di Roma e del Lazio, negli ultimi anni si è registrato un aumento dei contratti di breve o brevissima durata rispetto a quelli di maggiore durata, soprattutto a Roma, dove il 48% dei nuovi contratti attivati ha una durata di soli un giorno. Nel resto del Lazio, le percentuali variano dal 4 al 10%, al di sotto della media nazionale del 12,6%. Un elevato numero di lavoratori, 109mila, di cui ben 99mila a Roma, ha avuto un contratto di lavoro della durata di un solo giorno.
Questa prevalenza di contratti a termine, soprattutto di breve durata, porta a considerare che la causa principale della cessazione dei contratti di lavoro a Roma sia la naturale scadenza del contratto, piuttosto che licenziamenti o dimissioni volontarie. E poi, ovviamente, c’è il lavoto nero che secondo i sindacati spiegherebbe contratti dalle durate così frazionate: secondo lo studio della Cgil, è necessario un cambiamento della normativa nazionale che favorisca il lavoro stabile come forma principale di impiego e un impegno concreto delle istituzioni locali per ridurre la precarietà del lavoro a Roma e nel Lazio.
La situazione nel resto d’Italia non cambia di molto, anche se le regioni del nord sono quelle più virtuose perchè, almeno sulla carta, riescono a garantire maggiore continuità lavorativa. In compenso, però, c’è un aspetto da non sottovalutare: la flessibilità è una regola frequente anche all’estero dove, anzi, il mito del posto fisso talvolta non è mai esistito. E la conferma arriva, ancora una volta, proprio dalle statistiche.
La maggioranza dei lavoratori europei è impiegata con un contratto di lavoro dipendente, che può essere a tempo indeterminato o determinato. Nel primo caso, si tratta di un accordo che non ha una data di scadenza specifica, mentre nel secondo caso la fine del rapporto di lavoro è stabilita o alla fine di un periodo prestabilito o al termine di una specifica attività. Questo tipo di contratto è più comune tra i giovani, coloro con livelli di istruzione più bassi e viene più frequentemente stipulato dalle donne rispetto agli uomini. La sua prevalenza varia considerevolmente da un paese all’altro.
Secondo i dati del rilevamento sulla forza lavoro dell’EU Labour Force Survey condotto da Eurostat, la principale ragione per cui le persone sopra i 25 anni hanno un contratto a tempo determinato è la mancanza di opportunità per un impiego permanente, mentre tra i giovani sotto i 30 anni è più comune dovuto alla sovrapposizione con un percorso formativo in corso.
L’incidenza di contratti a tempo determinato varia ampiamente tra i paesi europei, con i Paesi Bassi che riportano il valore più alto, seguiti da Spagna, Portogallo, Francia e Finlandia. L’Italia si colloca al sesto posto, con un tasso in costante aumento nel corso degli anni, soprattutto nel sud del paese.
Considerando solo i lavoratori dipendenti, nel 2022 circa il 16,8% in Italia aveva un contratto a tempo determinato con percentuali più elevate nel sud rispetto al nord e al centro. Questo tipo di contratto è più frequente tra le donne e i giovani, riflettendo le disuguaglianze di genere e le pressioni tradizionali legate ai ruoli familiari.
La situazione varia anche in base all’età e al genere, con l’Italia che ha la più alta percentuale di giovani con contratti a tempo determinato non inseriti in percorsi formativi. In alcuni paesi dell’Europa orientale, l’incidenza di questi contratti è maggiore tra gli uomini.
In questa puntata di Extra, Claudio Micalizio analizza la situazione laziale con il segretario generale della Cgil Roma Lazio, Natale di Cola