C’era un tempo, in Italia, in cui l’amianto e i suoi composti venivano utilizzati in abbondanza per sfruttarne le proprietà isolanti e ignifughe: dai vecchi cassoni dell’acqua agli impianti idraulici, dalle canne fumarie agli edifici domestici, dalle vecchie carrozze dei treni agli insediamenti industriali e commerciali, l’ asbesto veniva impiegato con generosità perché era anche un materiale molto conviente dal punto di vista economico.
Nonostante in Europa i primi dubbi risalissero addirittura agli anni ’30, solo dopo molto tempo ci si accorse che quel minerale era anche nocivo per la salute: l’amianto, noto anche come asbesto, si presenta come una sostanza fibrosa con il rischio però che le fibre si stacchino dal materiale e diventino respirabili, causando gravi patologie polmonari anche dopo molti anni.
Il nostro paese, forse, non se ne è ancora reso completamente conto se è vero che, a distanza di ormai quattro decenni dalla messa al bando di questo materiale, la bonifica dei plessi industriali e degli edifici civili contenenti amianto sono ancora all’inizio mentre corrono decisamente più spedite le patologie ad esso correlate: nonostante le restrizioni i danni causati dall’amianto persistono, con oltre 230.000 vittime a livello mondiale ogni anno, secondo un report del 2022 dell’Istituto Superiore di Sanità; solo in Italia, si contano ancora oltre 4.000 vittime all’anno e poichè i tempi di incubazione sono molto lunghi le previsioni dicono che non siamo ancora arrivati all’apice dell’andamento epidemiologico.
L’insidia principale sta proprio nella composizione dell’amianto che, come accennato, può identificare sei minerali fibrosi appartenenti alla famiglia dei silicati: il crisotilo, di colore grigio-biancastro, costituisce circa il 95% dell’amianto commerciale, seguito dalla crocidolite, di colore blu, e da altre varietà come l’amosite, l’actinolite, la tremolite e l’antofillite, meno rilevanti dal punto di vista commerciale.
Questi minerali fibrosi si presentano a livello microscopico sotto forma di fibre, simili a piccoli aghetti di dimensioni comprese tra 1 e 5 micron. Tali fibre, inalabili, possono penetrare negli alveoli polmonari, dove vengono intercettate dai macrofagi. Tuttavia, le fibre più lunghe possono compromettere il sistema di difesa, causando danni alle cellule della pleura e favorendo la formazione di malattie, incluse forme tumorali incurabili.
Ad accomunare tutti i minerali il fatto che il tempo di biopersistenza è mediamente lungo ma varia a seconda delle specificità: ad esempio il crisotilo persiste nel corpo per circa dieci mesi, mentre la crocidolite può perdurare per diversi anni, rendendola particolarmente pericolosa. Le patologie legate all’amianto manifestano i loro effetti spesso dopo molte decadi, rendendo difficile il riconoscimento tempestivo.
L’ampio utilizzo dell’amianto in passato era motivato dai bassi costi, dalla disponibilità abbondante e dalle eccellenti proprietà tecniche, come l’ignifugità e l’isolamento termico e acustico. Tuttavia, nonostante la consapevolezza dei danni alla salute, alcuni Paesi, come Russia, Cina, India, Kazakistan, Brasile e Zimbawe, continuano ad utilizzare l’amianto. In Italia, dal 1992, la legge 257 ne vieta l’estrazione, la produzione e la vendita: ma poichè ogni manufatto di amianto può essere pericolosa con il passare del tempo, si era anche previsto di bonificare al più presto tutti i plessi produttivi e iniziare un monitoraggio su scala nazionale per smaltire anche i quantitativi di amianto presenti in edifici pubblici e privati.
A distanza di 40 anni, però, solo una parte di questo impegno di risanamento è andato avanti: e se in alcune località simbolo come Casale Monferrato, in Piemonte, la bonifica dell’ex area industriale Eternit è praticamente conclusa (anche se le nuove diagnosi di malattie correlate si suggeguono comunque ogni anno) si stima che in giro per l’Italia ci siano ancora milioni di tonnellate di amianto da smaltire. Fermo al palo invece il censimento che avrebbe dovuto mappare la presenza di questo materiale in case, scuole, uffici, fabbriche o in qualunque altro luogo in passato si sia ritenuto conviente lavorarlo.
Rimuovere l’amianto dagli edifici non è una soluzione semplice, poiché diventa pericoloso solo quando il manufatto contenente amianto viene alterato o danneggiato. La legge prevede pratiche come la rimozione e l’incapsulamento, quest’ultimo consistente nell’applicazione di vernici speciali per evitare il distacco delle fibre. Dunque, non sappiamo bene dove si trovi ma poi è un problema anche smaltirlo. E così magari ci siamo a contatto senza saperlo con il risultato che in teoria potremmo anche ammalarci.
Ne sanno qualcosa tante categorie di lavoratori che ogni anno contano nuovi contagi e nuovi decessi. E qui ecco un altro problema: quando ci si ammala, ammesso di riuscire a sopravvivere a lungo, spesso non si ottiene neanche il giusto riconoscimento della malattia e il relativo indennizzo proprio perché la scarsa consapevolezza dei rischi correlati all’esposizione all’amianto si accompagna ad una legislazione non sempre efficace che si scontra con gli interessi di chi – magari un datore di lavoro – non ha convenienza a riconoscere che quell’operaio si è ammalato perché era a contatto più o meno consapevolmente con le fibre killer. L’ultimo caso, poche settimane fa, ha riguardato un macchinista dell’Atac: ma cosa c’entra la metropolitana con la piaga dell’amianto? In questa puntata di Extra, Claudio Micalizio ne parla con Ezio Bonanni, avvocato e presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto che oltre a sensibilizzare istituzioni e opinione pubblica sui rischi correlati a queste situazioni aiuta i lavoratori affinché vengano tutelati e risarciti di fronte agli effetti della malattia.