Il digital divide penalizza l’Italia e gli italiani. In un paese che storicamente ha sempre navigato nei piani bassi delle classifiche relative alla digitalizzazione e dove in alcune zone anche l’accesso ad una buona connessione internet è ancora un lusso, è probabilmente inevitabile che anche la popolazione sia poco adusa alle nuove tecnologie.

Qualche passo avanti negli ultimi tempi è stato fatto: secondo il Digital Economy and Society Index, ovvero l’indice introdotto dalla Commissione Europea nel 2014 per misurare i progressi dei Paesi europei in termini di digitalizzazione dell’economia e della società al fine di convergere verso un unico mercato digitale, sui 27 Paesi membri dell’Unione Europea il Belpaese si colloca al 18esimo posto per livello di digitalizzazione complessiva dopo aver guadagnato due posizioni rispetto all’anno precedente e addirittura 7 rispetto al 2020ù, quando si era 25esimi. Ma il gap più difficile da colmare, a questo punto, sembra soprattutto socio-culturale, più che infrastrutturale: secondo un report diffuso la scorsa estate da Istat, per esempio, gli italiani sono al quart’ultimo posto per competenze digitali e il loro livello di conoscenza e dimestichezza dipende dall’età anagrafica, dalle condizioni sociali e culturali ma anche proprio dalla facilità di accesso alla rete.

A cascata ne derivano tutta una serie di performance poco lusinghiere che confermano le difficoltà dell’Italia in alcuni ambiti. Mentre i processi di transizione ecologica e digitale portati avanti dai Paesi membri dell’Unione permettono ai lavoratori di avere le competenze necessarie per affrontare con successo i cambiamenti del mercato del lavoro, più di tre quarti delle aziende europee segnalano difficoltà nel reperire lavoratori con competenze digitali e, come conferma Eurostat, solo il 37% degli adulti intraprende corsi volti ad aumentare le proprie competenze digitali. La Commissione Ue è determinata ad affrontare il divario di competenze digitali e a promuovere progetti e strategie per migliorare il livello delle competenze digitali in Europa e, da parte sua, anche l’Italia ha adottato una strategia nazionale realizzata dal Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale: il progetto delinea gli obiettivi da perseguire per eliminare l’attuale divario con altri Paesi europei simili all’Italia entro il 2025, in modo da rendere il digitale una reale opportunità di crescita sociale ed economica per tutti e tutte, abbattendo l’analfabetismo digitale e sviluppando un necessario percorso di cambiamento culturale in tutti i settori della società.

Ma non è l’unico aspetto che conferma il gap digitale della nostra popolazione. A che punto siamo, per esempio, sulla sicurezza informatica? I dati non sono esaltanti e riservano anche qualche gustosa curiosità che rasenta il paradosso: secondo un’indagine quasi il 15% degli utenti italiani preferisce non navigare nei luoghi pubblici e quasi il 75% di chi naviga preferisce la propria rete mobile ai WiFi pubblici perché teme per la propria privacy e per il rischio di perdere informazioni sensibili ma poi solo il 30% degli intervistati dice di usare sistemi di protezione basici – come per esempio un antivirus – e dichiara al contrario di sentirsi perfettamente “al sicuro” quando usa le reti di casa o del proprio uffcio. Per non parlare delle password, la cui gestione secondo gli esperti lascia davvero a desiderare.

In questa puntata di Extra parliamo proprio di sicurezza informatica e di rischi per la nostra incolumità digitale: in collegamento con Claudio Micalizio interviene Stefano Pinato, Country Manager Barracuda Networks e tra i massimi esperti del settore.