Malasanità, una parola che non vorremmo più sentire, invece sembra una piaga sempre più dilagante, nonostante i tanto sventolati investimenti dell’era pandemica, il servizio sanitario perde i pezzi, carenza di personale, di mezzi di soccorso, difficoltà a ricevere cure immediate anche nei casi gravi, ma sopra a tutto la disumanità, la mancanza di empatia, la trasformazione di ospedali e pronto soccorso, da luoghi di soccorso, in una specie di “prigione” impenetrabile, dove si muore soli e talvolta abbandonati, senza nemmeno il conforto, la vicinanza e il calore dei parenti, a cui viene troppo spesso impedito l’accesso, in nome di protocolli scellerati e privi di alcun senso logico, medico e umano.
Forse è proprio questa l’eredità più orribile che ci ha lasciato il covid, la netta separazione tra personale medico e sanitario e i pazienti con i loro parenti, una volta entrati in pronto soccorso ci si ritrova soli e in balia del personale di turno e se siamo sfortunati può finire male, anzi malissimo, come nel caso di Giuseppe Giuliano. La sanità diventa malasanità e le persone hanno paura di sentirsi male di dover andare in pronto soccorso o in ospedale.
Così dopo il caso di malasanità di Antonio Caroccia che ha catalizzato un enorme attenzione da parte del pubblico e un’ondata di indignazione oggi affrontiamo il caso di Giuseppe Giuliano.
Ne parliamo con Zaira Bartucca, giornalista, direttore di Recnews.it, che ha seguito questo caso dall’inizio, trovate gli articoli qui e qui e con Fabrizio Giuliano uno dei figli del signor Giuseppe.
La corsa al pronto soccorso e lo stop per il tampone
Giuseppe si sente male il 14 settembre, ha una gamba gonfia e arrossata, febbre e brividi, alle 14.00 la famiglia chiama il pronto soccorso dell’ospedale Jazzolino, ma l’attesa è di 3 ore! Anche questa è malasanità.
Una cosa impensabile, abituati a vedere sfrecciare le ambulanze, senza soluzione di continuità, a sirene spiegate, durante la pandemia.
Uno dei figli decide di accompagnare Giuseppe al pronto soccorso insieme alla madre, Giuseppe sta male ma scende le scale e sale sull’auto con le sue gambe, arrivano al pronto soccorso alle 15.00. Ma qui la prima sorpresa, Antonio non può essere ricoverato senza prima aver fatto il tampone, si perde così inutilmente, tempo prezioso.
Una pratica assurda, Giuseppe aveva una gamba gonfia, doveva essere visitato urgentemente, esattamente come Suor Raffaella Boffardi, morta dopo due ore di attesa dell’esito del tampone. Questa è sanità o malasanità?
Fortunatamente dopo il tampone viene preso in carico, la famiglia però viene allontanata «per i protocolli covid che non sono più in vigore». E’ l’ultima volta che la moglie Anna Maria e i figli Fabrizio, Stefano, Tony Cristian e Dario vedono Giuseppe da vivo, scrive Zaira Bartucca su Recnews.it.
I parenti restano fuori per i “protocolli covid”
Altra assurdità, spietata e disumana, impedire l’accesso ai parenti, nonostante la madre avesse la mascherina e fosse disposta a sottoporsi al tampone. Mascherina e tampone sono richieste assurde e fuori luogo, sia chiaro, ma purtroppo derivano dall’Ordinanza del Ministero della Salute del 28 aprile 2023, pubblicata in data 29 aprile 2023.
Ordinanza che, oltre a lasciare ospedali e pronto soccorso nel caos, lascia la decisione alle singole strutture, facendo così venir meno i diritti sacrosanti garantiti dalla Costituzione Italiana è il risultato delle posizioni di potere consolidatesi in seguito alla cosiddetta Pandemia, che fanno fatica a retrocedere a favore di una ri-normalizzazione della società e del ripristino delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili della persona. Quando questi diritti vengono violati si entra nel campo della malasanità.
Abbandonato su una barella fino alla morte
Alle 17.15 un’infermiera riferisce che Giuseppe “è in attesa della TAC”, la famiglia si mette in contatto telefonico con Giuseppe che è solo, abbandonato su una barella e ha freddo. Giuseppe viene aiutato solo da una ragazza che era insieme ad un parente ricoverato, che lo copre.
Qui un’altra incongruenza, come mai la ragazza era entrata e la moglie del sig. Giuseppe è stata lasciata fuori? Potrebbe aver approfittato di un momento di distrazione del personale addetto al controllo, ma potrebbe anche non essere così.
Nulla lascia presagire il peggio, ma dalle 18.00 in avanti i parenti non riescono più contattare Giuseppe sul telefono e alle 19.15 una dottoressa e un’infermiera escono per comunicare alla famiglia che Giuseppe è morto. Una comunicazione fredda e repentina, prima di rientrare frettolosamente nel pronto soccorso e senza dare alcuna spiegazione sulle cause della morte.
Giuseppe sarebbe rimasto tutto il tempo in barella senza essere sottoposto ad accertamenti. «Abbiamo notato – è quanto fa sapere la famiglia – che non aveva alcuna flebo né alcun altro macchinario per il monitoraggio dei parametri vitali, ad esempio per monitorare il battito cardiaco o la saturazione». «In serata mi è stato pure detto che la TAC era rotta» racconta Fabrizio. Scrive ancora Zaira Bartucca su Recnews.it.
Immediata la denuncia ai carabinieri per questo ennesimo caso di malasanità e la famiglia è in attesa degli sviluppi delle indagini.
Basta malasanità! La lettera al presidente della Regione Occhiuto
Fabrizio giuliano ha scritto una lettera al presidente della Regione Occhiuto
“In Calabria la vita umana sacrificata sull’altare della negligenza e della sciatteria sanitaria”
“La tragedia della sanità in Calabria con Vibo Valentia a portare la bandiera continua a essere un’oscura e incivile pagina della storia della nostra Regione. Al pari delle altre regioni d’Italia, il diritto ad essere curati dovrebbe essere garantito, purtroppo tutto ciò a Vibo Valentia non è scontato. Ci troviamo di fronte a una realtà in cui la vita umana sembra essere spesso ignorata. È un sistema marcio, corrotto dall’indifferenza, dall’inerzia e dal malaffare, dove il valore duna vita umana viene spesso sacrificato sull’altare della negligenza, del menefreghismo e della completa sciatteria sanitaria”.
“Sì, proprio così “sciatteria sanitaria” perché ogni qual volta ha bisogno di curarsi si ha l’impressione di percepire un mix di adrenalina e ansia al pari di una puntata alla roulette russa. In Calabria, la morte sembra essere diventata una statistica, un numero tra i tanti. Le persone soffrono e muoiono senza ricevere le cure di cui hanno bisogno, mentre chi dovrebbe proteggerle e curarle sembra voltare lo sguardo altrove. Il dolore delle famiglie, costrette a vedere i propri cari andarsene prematuramente, è amplifica dall’impotenza di fronte a un sistema che non funziona, un sistema appunto marcio da dentro”.
“Questo è un appello alla coscienza di tutti noi, ma soprattutto alla vostra, che siete i nostri rappresentanti, affinché si metta fine a questa indifferenza verso la sofferenza umana. Oggi a morire inerme per mano di un’equipe di lestofanti e negligenti è stato il mio caro papà, ma le prometto che non ci arrenderemo di fronte a niente e nessuno pur di arrivare a far chiarezza sulle responsabilità di ognuno. Ogni vita conta, e nessuno dovrebbe morire come se niente fosse, a causa di mercenari sanitari perché i medici, quelli animati da vocazione alla missione, sono ben altro”.
#GiustiziaPerGiuliano