C’è stato un tempo in cui, in Italia, chi contestava le misure di politica sanitaria e i provvedimenti restrittivi imposti dalla politica (spesso su indicazione del Cts, il Comitato Tecnico Scientifico) veniva automaticamente messo all’indice e accusato di essere un negazionista dell’emergenza provocata dalla diffusione del Covid: e poco importava se a esprimere critiche circostanziate e motivate erano persone qualificati in ambito medico, scientifico o per esempio legale perché per tutti, indistintamente, politici e media avevano già pronta l’etichetta che li avrebbe screditati agli occhi dell’opinione pubblica.
E così nel periodo più buio della pandemia, quando le giornate scorrevano scandite dai bollettini e le libertà individuali venivano subordinate a tamponi e green pass, c’era chi contestava apertamente le misure per il lockdown introdotte contro il Covid dai governi attraverso i DPCM, acronimo ormai celeberrimo che indica i provvedimenti emanati direttamente e con carattere d’urgenza (letteralmente: Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri): la chiusura degli uffici e delle attività commerciali così come il divieto di uscire di casa decretato per ragioni sanitarie veniva criticato più o meno apertamente da giuristi, qualche medico e uomo di scienza, e da molte categorie economiche penalizzate dai lockdown.
Passata la pandemia il silenzio è calato anche su questa questione ma, nel frattempo, chi aveva subito quei provvedimenti e li riteneva illegittimi o ingiusti si è rivolto ai tribunali e oggi, anche se lentamente per le lungaggini del sistema giudiziario italiano, qualche processo sta arrivando a sentenza e sembra avallare proprio quelle critiche che all’epoca venivano bollate come “infondate”: un caso eclatante, ma rimasto sinora sotto traccia, è rappresentato da una sentenza che riguarda il titolare di un ristorante fiorentino che nel novembre 2020 violò uno dei d.p.c.m. per aver consegnato una pizza 25 minuti dopo il coprifuoco: l’uomo pagò una multa di 800 euro ma dovette chiudere il locale per un mese e nel frattempo fece ricorso. Ebbene: a distanza di oltre 3 anni la sentenza del Giudice di Firenze potrebbe rappresentare un importante precedente perché, di fatto, assesta un duro colpo ad un provvedimento amministrativo che, in sostanza, appare troppo debole sul piano normativo per giustificare misure cosi drastiche come quelle introdotte con il lockdown: nelle pagine della sentenza il giudice evidenzia come, sul piano più strettamente normativo, anche il Parlamento avrebbe dovuto essere coinvolto mentre, sul piano scientifico, mancavano elementi attendibili per giustificare le misure introdotte a fronte generici allarmi visto che anche i dati ufficiali sulla circolazione del virus erano secretati.
La vicenda, dunque, può rappresentare un clamoroso precedente giuridico e chiunque abbia subito la chiusura della propria attività – ma, per estensione, anche una limitazione delle proprie libertà individuali – potrebbe fare ricorso e almeno in teoria vincerlo. Però i media non ne parlano e anche i politici dimostrano una certa insofferenza nei confronti di chi chiede chiarimenti: in questa puntata di Extra, Claudio Micalizio prova ad approfondire la questione in punta di diritto con l’avvocato Smeralda Cappetti, del team legale di Aduc.