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Siccità record, ancora tre settimane di autonomia. Agricoltori preoccupati: “Servono invasi e dighe” – Extra – Lunedì 29 luglio 2024

Non è soltanto colpa del cielo, se non piove abbastanza. E del resto tirare subito in ballo il cambiamento climatico, che pure c’è e contribuisce alle alterazioni meteorologiche che sempre più spesso provocano fenomeni di portata straordinaria se non addirittura catastrofici, rischia di essere un alibi comodo quanto pericoloso per un paese, il nostro, che fatica ad assumersi la responsabilità dei propri errori e, ancora di più, sembra incapace di fare scelte davvero efficaci.

Eppure è davvero così. La siccità nei campi che in alcune regioni italiane sta mettendo in ginocchio l’agricoltura del Belpaese, non è soltanto legata alla penuria di piogge ma, al contrario, è provocata dalla combinazione di molteplici fattori: alcuni climatici, altri ambientali e umani.

Il primo problema, ovviamente, è il deficit di precipitazioni: la causa principale della siccità è la mancanza di piogge sufficienti per un periodo prolungato e quando le precipitazioni sono inferiori alla media per un lungo periodo, le riserve idriche del suolo si esauriscono. Quest’anno il problema riguarda soprattutto le regioni dell’Italia centro meridionale e le due isole principali: in Sardegna e in Sicilia non si registrano precipitazioni degne di questo termine da ormai 12 mesi e questo record negativo ha un impatto devastante sulle attività agricole ma, inevitabilmente, anche sul contesto imprenditoriale, turistico e civile. Perché quando manca l’acqua, si è costretti a ridurre gli utilizzi e le restrizioni inevitabilmente creano disagi a chi deve rispettarle.

Le conseguenze dell’assenza di piogge, ovviamente, sono aggravate dalle alte temperature che aumentano l’evaporazione dell’acqua dal suolo e la traspirazione delle piante, riducendo ulteriormente la quantità di acqua disponibile per le colture. Tutto questo, ovviamente, dipende ed è aggravato dal più ampio fenomeno dei cambiamenti climatici che, secondo buona parte della comunità scientifica, stanno influenzando i modelli meteorologici, portando a periodi di siccità più frequenti e intensi in molte regioni del mondo.

E poi, però, ci sono le responsabilità di noi esseri umani che, spesso, contribuiamo ad aggravare ulteriormente gli effetti dei fenomeni naturali che, come tali, sfuggono alla nostra capacità di controllo ed intervento. Il problema principale, da questo punto di vista, è riconducibile alla gestione idrica inefficiente: l’uso non sostenibile delle risorse idriche, come l’irrigazione eccessiva, la mancata costruzione di dighe o invasi e ancora il drenaggio delle falde acquifere, può contribuire alla scarsità d’acqua, aggravando così gli effetti della siccità. Se è vero che ci sono lunghi periodi siccitori, infatti, è altrettanto vero che di anno in anno i quantitativi di pioggia che cadono a terra si equivalgono: in Italia, però, non siamo in grado di raccogliere l’acqua piovana e poi di custodirla ed utilizzarla nei momenti in cui ci sarebbe bisogno. Qualche infrastruttura in più, insomma, potrebbe aiutare ma nel nostro paese da decenni non si costruiscono più bacini idrici.

Ma se in questo caso l’uomo può aggravare la situazione a causa della sua indolenza o superficialità, ci sono contesti in cui con il suo comportamento può arrivare addirittura a danneggiare l’ambiente stesso aggravando le conseguenze della crisi idrica. E’ il caso, per esempio, della deforestazione e del degrado del suolo: la rimozione delle foreste e le azioni di danneggiamento del suolo – un processo degenerativo e irreversibile che provoca la sua totale scomparsa o una perdita della sua fertilità sotto l’aspetto fisico-meccanico, chimico e biologico – possono ridurre la capacità del terreno di trattenere l’acqua, rendendo i campi più vulnerabili alla siccità.

E poi, ovviamente, c’è l’urbanizzazione: la crescita delle aree urbane può ridurre le superfici permeabili, diminuendo la ricarica delle falde acquifere e aumentando il deflusso superficiale. Ma l’essere umano ovviamente può danneggiare la terra anche senza accorgersene o, peggio ancora, persino quando è convinto di accudirla e tutelarla. Il caso limite riguarda l’agricoltura, che è di per sè un’attività preziosa e amica della natura ma che può anche arrivare a danneggiare il pianeta con politiche agricole non sostenibili: l’agricoltura intensiva senza rotazione delle colture, l’uso eccessivo di fertilizzanti e pesticidi e la mancata adozione di tecniche di conservazione del suolo possono ridurre la fertilità e la capacità di ritenzione idrica del suolo.

Secondo gli esperti, quindi, la siccità non è solo colpa dell’assenza delle piogge che pure è la manifestazione più eclatante del problema: errori, inefficienze e superficialità umane possono portare a una diminuzione della disponibilità di acqua per le colture, compromettendo la produzione agricola e causando gravi impatti economici e sociali nelle regioni colpite. Un ventaglio di cause che richiederebbe riflessioni più approfondite alla ricerca delle adeguate soluzioni ma questo, almeno sinora, non accade.

Ora però il mondo agricolo chiede l’intervento delle istituzioni. Anche perchè Anbi, l’associazione nazionale che riunisce i consorzi interessati dalla gestione dei bacini idrici, ha appena lanciato l’allarme: ci sono ancora tre settimane di autonomia, poi rischia di non esserci più disponibilità d’acqua per l’attività dei campi. Cosa accadrà dunque? In questa puntata di Extra, Claudio Micalizio incontra Nicola Tavoletta, presidente nazionale di Acli Terra.

 

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