In questa puntata di Extra, parliamo di un’anomalia che da oltre dieci anni penalizza tutti i dipendenti pubblici all’atto del pensionamento: contrariamente a quanto accade per i lavoratori del settore privato, devono aspettare dai 5 ai 7 anni per incassare la loro liquidazione e questo per effetto di un provvedimento varato dal Governo Monti nel 2012 quando, per non gravare sui conti pubblici, si chiese a diverse categorie di cittadini di fare sacrifici (ricordate gli esodati della Fornero?).
La procedura corretta, invece, dovrebbe essere simile a quella in vigore per i dipendenti del settore privato. Se ci rifacciamo direttamente alla definizione data dal portale dell’Inps, infatti, “il TFR/TFS (rispettivamente Trattamento di Fine Rapporto e Trattamento di Fine Servizio) corrisponde ad una somma di denaro che viene corrisposta ad un dipendente (TFR) o ad un dipendente pubblico (TFS) al termine del rapporto di lavoro. Ebbene, da oltre dieci anni coloro che lavorano per lo Stato sono di fatto discriminati: come denunciato a più riprese dai sindacati, la liquidazione delle somme spettanti avviene attraverso modalità differite e rateali, che comportano un notevole aumento dei tempi d’attesa per i lavoratori, costretti talvolta ad aspettare quasi un decennio prima di poter riscuotere ciò che è dovuto per legge.
Appunto dai 5 ai 7 anni di attesa mentre le norme in vigore prevedono, per i dipendenti del settore privato, un termine masso di 12 mesi (nel caso di dimissioni volontarie) o di 30 giorni (nel caso di licenziamento). Se non viene erogato entro i tempi previsti, il lavoratore può presentare una domanda di pagamento all’INPS mentre il dipendente pubblico, proprio per effetto di quel provvedimento introdotto dal Governo Monti, deve solo aspettare.
E dire che tali modalità sono state dichiarate anticostituzionali da una sentenza della Corte Costituzionale del giugno 2023 poiché in contrasto col principio della giusta retribuzione. Eppure non è ancora cambiato nulla: i ritardi nei pagamenti del Tfs rimangono ancora una pratica comune, favorita dal silenzio politico e mediatico e dagli inefficaci disegni di legge presentati negli ultimi anni.
Proprio per questo motivo i principali sindacati del settore hanno lanciato una petizione per cercare di mobilitare i lavoratori a sostenere attivamente la causa; attraverso la loro firma, potranno contribuire a portare l’argomento al centrodell’interesse politico e mediatico. E se sarà il caso sono pronti a chiedere aiuto anche alla Corte Europea per i Diritti Umani.
In questa puntata, Claudio Micalizio affronta il problema con Marco Carlomagno, Segretario generale CSE – Confederazione Indipendente Sindacati Europei: per quale motivo lo stato non tutela i propri dipendenti e, ancor peggio, viola le norme che li riguardano?