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Carceri sovraffollate e suicidi: è ancora emergenza. Sbriglia (FSI-USAE): “Mancano le competenze” – Extra – Martedì 16 luglio 2024

Il problema delle carceri sovraffollate si trascina da decenni ed è il classico dossier che sembra destinato a non trovare soluzione per le dinamiche tipiche di un paese come l’Italia. Del resto, complice anche il ruolo dei media, del pianeta carcerario si parla solo quando eventi di cronaca riaccendono l’emergenza: la politica promette interventi urgenti per dare risposte immediate ma poi non entra mai nel merito delle origini dei problemi e, men che meno, delle soluzioni davvero efficaci.

Prendete il dramma dei suicidi che sono una routine drammaticamente presente nelle prigioni italiane e che riguardano i detenuti e, pur se in misura sicuramente minore, anche gli agenti di polizia penitenziaria. Nelle ultime settimane il numero dei decessi in cella è tornato a salire ma, nonostante il problema del sovraffollamento sia nuovamente arrivato a livelli di allerta (con il rischio di una nuova procedura di infrazione europea), il tema al momento non è ancora arrivato all’ordine del giorno del dibattito politico nazionale.

La questione resta però drammatica, tanto che già la scorsa primavera Antigone aveva lanciato l’ennesimo allarme, come sempre inascoltato. Quota 100: è la drammatica soglia raggiunta dai suicidi nelle carceri italiane in poco più di un anno, da gennaio 2023 a marzo 2024. Proprio questo numero allarmante aveva portato l’associazione che monitora le condizioni dei penitenziari italiani, a intitolare “Nodo alla gola” il suo rapporto annuale, accompagnandolo con un dossier specifico sul tema. I curatori del rapporto sottolineano che ogni suicidio è legato a sofferenze e fragilità personali, ma l’aumento significativo dei casi richiede una visione d’insieme.

L’ambiente carcerario aggrava situazioni già difficili: le biografie di chi si è suicidato mostrano condizioni di emarginazione estrema. L’età media delle vittime è di 40 anni, con 17 giovani tra i 20 e i 29 anni. Il tasso di suicidi è significativamente maggiore tra i detenuti stranieri (42 in totale), e avviene soprattutto all’ingresso in carcere o alla fine della pena: almeno nove persone erano in carcere da pochi giorni e quindici erano prossime a richiedere una misura alternativa. In carcere, il rischio di suicidio è 18 volte maggiore rispetto all’esterno. Antigone ha raccolto dati che mostrano che almeno 22 delle 100 persone suicidate soffrivano di patologie psichiatriche.

Il rapporto evidenzia la necessità di migliorare le condizioni di vita nelle carceri e promuovere percorsi alternativi alla detenzione, soprattutto per chi ha problemi psichiatrici e di dipendenza. La situazione nei penitenziari italiani peggiora costantemente: nel 2023, nonostante una riduzione dei reati del 5,5%, la popolazione carceraria è aumentata di 331 unità al mese, con il rischio di superare le 65.000 presenze entro fine anno, soglia che portò alla condanna dell’Italia per trattamenti inumani nel 2013. Al 31 marzo 2024, con 61.049 detenuti, il tasso di affollamento è al 125%, e 13.500 detenuti non hanno un posto disponibile secondo la capienza regolamentare.

Le cause dell’aumento delle presenze, secondo Antigone, sono tre: pene più lunghe, minor concessione di misure alternative da parte dei magistrati di sorveglianza e nuove norme penali e pratiche di polizia che aumentano gli ingressi. Il piano di edilizia penitenziaria non è la soluzione, servirebbero almeno cinque miliardi di euro e la costruzione di 40 nuove carceri, oltre a 12.000 nuovi agenti di polizia penitenziaria e altre figure professionali.

I penitenziari esistenti, molti dei quali necessitano di ristrutturazione, sono molto vecchi: 21 su 99 sono stati costruiti prima del 1900. Nel 2022, sono arrivati 7.643 reclami per condizioni inumane e degradanti. In 28 istituti non erano garantiti tre metri quadrati per persona, in nove mancava il riscaldamento, in 47 l’acqua calda e in sei il WC non era separato.

Antigone sottolinea che 22.180 detenuti hanno meno di tre anni di pena da scontare, soglia per accedere a misure alternative che potrebbero svuotare le carceri e far risparmiare 438 milioni di euro all’anno se applicate a 12.000 persone. Oltre 20.000 detenuti sono incarcerati per violazioni della legge sugli stupefacenti, un aumento del 6% rispetto al 2022.

Gli operatori dell’area trattamentale sono insufficienti: nel carcere romano di Regina Coeli c’è un educatore ogni 163 detenuti e a Novara uno ogni 178, con una media nazionale di meno di uno ogni 60 detenuti. Manca anche personale penitenziario, con un agente ogni due detenuti rispetto a una previsione di 1,5.

L’uso dell’isolamento come strumento di controllo è eccessivo, soprattutto contro gruppi svantaggiati e persone con disabilità mentale. L’uso di psicofarmaci è massiccio: oltre 15.000 detenuti fanno regolarmente uso di stabilizzanti dell’umore, antipsicotici e antidepressivi, e il 40% usa sedativi o ipnotici.

Infine, il regime del 41-bis continua a essere applicato a 733 detenuti, con meno del 30% di ergastolani. I curatori del rapporto avrebbero preferito usare parole come innovazione, modernità, riforme, solidarietà, empatia, speranza, fraternità, dignità, normalità, socialità, responsabilità, autonomia, rispetto, affettività e sessualità per descrivere il sistema penitenziario, spesso ignorate nella realtà detentiva.

Problemi che suonano come altrettante accuse per il sistema della Giustizia in Italia. Ma perché le istituzioni e la politica non intervengono, al di là di qualche intervento stop? In questa puntata di Extra, il programma di approfondimento quotidiano in onda su Radio Roma News Tv, Claudio Micalizio fa il punto sull’emergenza carceraria con Enrico Sbriglia che oggi ha il ruolo di Coordinatore Dirigenza Penitenziaria FSI-USAE ma che in passato, per decenni, è stato dirigente del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ricoprendo incarichi importanti e di prima linea.

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