Una “eccezionale attitudine criminale”. E ancora: “disinvoltura ad intrattenere legami con figure criminali di primo piano ma, ancora più, dall’impermeabilità al trentennale periodo di carcerazione non essendo mutate né l’indole né la conoscenza delle dinamiche criminali nel territorio romano e nazionale”.
Così il gip di Roma descrive la figura di Marcello Colafigli, storico esponente della Banda della Magliana tornato oggi in carcere nell’ambito una indagine della Dda di piazzale Clodio, coordinata dai sostituti Giovanni Musarò e Francesco Minisci, su una organizzazione criminale dedita al narcotraffico.
Colafigli, detto ‘Marcellone’, si trovava in regime di semilibertà. “Non appena è stato ammesso allo svolgimento del lavoro esterno al carcere, sfruttando la copertura offertagli dalla responsabile della cooperativa – aggiunge il gip nell’ordinanza a carico di 28 persone -, ha organizzato, in breve tempo, un rilevante numero di importazioni di cocaina ed hashish, di ingente quantità e con abilissime modalità sia nell’escogitare il trasferimento del denaro ai fornitori colombiani sia nel trasporto del narcotico, sfruttando canali italiani ed esteri e programmando, infine, di fuggire all’estero con i proventi delittuosi, in un prossimo futuro mediante l’utilizzo di documenti falsi”. Condannato a più ergastoli, Colafigli è stato riconosciuto colpevole anche del sequestro e dell’omicidio del duca Massimo Grazioli Lante della Rovere (considerata come l’azione con cui la Banda ha iniziato la propria attività criminale), e dell’omicidio, come mandante, di Enrico De Pedis, detto “Renatino”.