Le proteste sono state evidenti anche nelle principali città, con numerosi cittadini che hanno manifestato il loro dissenso. E molti lo hanno fatto in nome di Alexei Navalny, il dissidente russo morto lo scorso 16 febbraio in una colonia penale oltre il Circolo Polare artico in circostanze che ancora restano oscure: era stato lui il primo a invitare gli elettori a boicottare il voto che vedeva il presidente uscente Putin in lizza per la quinta volta e poi, dopo la morte, è stata la vedova Yulia a rilanciare l’appello chiedendo ai simpatizzanti di andare al voto tutti insieme a mezzogiorno, così da manifestare anche visivamente il dissenso.
Nonostante tutto, è andata come da previsioni con la rielezione di Vladimir Putin al Cremlino e con le puntuali accuse dei leader occidentali e dei mezzi di informazione sulle presunte irregolarità nel voto. Del resto era da mesi che l’ipotesi veniva evocata dagli osservatori e quando si è avuta la conferma di un’affluenza alle urne record e di un successo così clamoroso per la rielezione del presidente uscente, sospetti o semplici pregiudizi si sono trasformati in accuse più o meno esplicite: i leader di Stati Uniti ed Europa, per esempio, non solo hanno messo in dubbio nelle loro dichiarazioni pubbliche la trasparenza delle consultazioni e della vittoria dello zar ma non hanno neppure riconosciuto il risultato elettorale.
Del resto, in molte democrazie occidentali, percentuali così elevate restano un miraggio e, forse, anche per questo destano enevitabilmente sospetti. Lo scorso fine settimana in Russia è andato a votare oltre il 74% degli aventi diritto (l’affluenza è stata significativamente superiore rispetto alle elezioni del 2018, peraltro risultato già record nella storia recente della confederazione russa) e Putin ha ottenuto il risultato migliore di sempre (quasi il 90% dei voti).
Per i politici e i commentatori che vedono con diffidenza le vicende dell’ex Unione Sovietica, questi due dati sono già di per sè la conferma che qualcosa non torna mentre per i sostenitori è la riprova della leadership del presidente che è ininterrottamente al potere da 20 anni e ha fondato tutte le interviste e le iniziative della campagna elettorale sulla necessità che i cittadini andassero al voto per manifestare la propria compattezza nei confronti dell’Occidente in un periodo in cui, tra l’altro, si parla con crescente insistenza di un possibile allargamento del conflitto ucraino e i principali leader occidentali invitano ad armarsi per preparare una guerra in Europa.
Ai sospetti si aggiungono poi le denunce di anomalie o errori, sia per il voto tradizionale che per quello elettronico, con segnalazioni di schede votate in modo identico o addirittura fotocopiate, oltre a dubbi sul sistema elettronico, considerato facilmente manipolabile in caso di un attacco hacker.
Durante le elezioni, scrivono i media occidentali, “si è verificata una repressione sistematica di ogni forma di opposizione, in un contesto altamente militarizzato” mentre l’agenzia di stampa russa Tass “i risultati ottenuti riflettono gli obiettivi stabiliti dall’amministrazione presidenziale prima delle elezioni, superando le previsioni dell’80% delle preferenze e del 70% di affluenza”.
Secondo i commentatori dell’Occidente, “questo risultato è stato raggiunto grazie a una serie di tattiche organizzate dal regime di Mosca, che ha impiegato militari all’interno dei seggi elettorali, trasformato automobili in seggi mobili e permesso il voto porta a porta”. E secondo Doxa e altri media indipendenti russi, l’affluenza è stata “manipolata attraverso pressioni esercitate sui dipendenti pubblici e delle aziende statali, affinché andassero a votare portando con sé i familiari e condividendo la loro posizione geografica con i superiori tramite un’applicazione dedicata”.
L’obiettivo di queste operazioni è stato quello di creare un’immagine di legittimazione popolare per la politica autoritaria e aggressiva dettata dall’ideologia di Putin. Anche le regioni ucraine occupate e annesse illegalmente, tramite referendum falsificati del 2022, hanno partecipato al voto, con risultati favorevoli a Putin che vanno dall’88% al 94%. Le percentuali più alte sono state registrate in Cecenia, governata dal dittatore Razmand Kadyrov, dove Putin ha ricevuto il 98,99% delle preferenze con un’affluenza del 96,5%.
Ma c’è chi ha avuto modo di seguire sul campo sia le operazioni di voto che quelle di spoglio e non ha ravvisato alcuna irregolarità. Sono i membri italiani di una commissione indipendente di oltre 110 esperti elettorali internazionali che sono stati invitati in Russia per monitorare le elezioni ed esprimere le proprie valutazioni: “La Federazione Russa ha votato ed ha scelto tra quattro candidati – spiegano Vito Grittani e Kan Taniya, entrambi ambasciatori presso il MAE della Repubblica di Abcasia spiega-. Parlare di “elezioni farsa” significa non guardare la realtà di un Paese che ha voluto ridare fiducia ad un presidente come Vladimir Putin. Nelle decine di seggi che abbiamo visitato nell’area di Mosca, come in varie città e paesi a Lugansk, e Donetsk (tra le altre Mariupol) e a Zaporozhye (tra le altre Melitopoli) abbiamo potuto constatare una ottima organizzazione e un grande entusiasmo della popolazione”.
In questa puntata di Extra, ospite di Claudio Micalizio proprio una delle componenti di questa commissione elettorale, Graziarosa Villani, che è appena rientrata in Italia dalla Russia e ci racconta cosa è successo nei seggi che ha avuto modo di visitare durante i tre giorni elettorali.