«La prima “Locale” della ‘ndrangheta a Roma, nata nel 2015, ha operato per lungo tempo agendo esattamente in parallelo allo Stato, con propri strumenti di “risoluzione delle controversie” e con proprie “procedure esecutive”, con consistente disponibilità di armi». È quanto si legge tra le motivazioni della sentenza pronunciata al termine del rito abbreviato dal gup Tamara De Amici, con cui sono stati condannati diciassette imputati, otto dei quali sconteranno condanne tra i 10 e i 20 anni di reclusione. Pena quest’ultima stabilita per Antonio Carzo, 64 anni, accusato di essere al vertice della prima cellula «locale» della ‘ndrangheta capitolina. Soprattutto, ritenuto il fondatore della locale romana dopo una riunione avvenuta in Calabria. Il gup ha anche condannato i figli di Carzo: Domenico a 16 anni e 8 mesi, e Vincenzo a 15 anni e 7 mesi. Condannato invece a 12 anni Francesco Calò. Nell’inchiesta, chiamata «Propaggine» è coinvolto anche Vincenzo Alvaro, che sarà giudicato con rito ordinario. A tutti gli imputati condannati a pene superiori ai dieci anni è contestata l’associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata (a seconda dei casi) alle rapine, all’estorsione o al riciclaggio.