Venti container refrigerati, tutti in funzione, dietro al crematorio del cimitero di Prima Porta. Stanno lì come quattro anni fa, quando furono presi a noleggio perché il Covid faceva strage e la struttura era in emergenza con le sei linee del forno che non riuscivano a smaltire le salme che arrivavano a ritmo impressionante. Da allora i numeri sono tornati alla normalità ma quella struttura rimane lì, tra il degrado più totale. Come del resto quel cimitero. Tombe divelte, loculi che cadono a pezzi, quelli in alto spesso vuoti nonostante bare e ceneri in coda per la tumulazione, acqua a intermittenza dalle fontane, muri e marciapiedi mangiati da umidità e incuria, interi colombari marci per le infiltrazioni e strade piene di crateri, ai limiti della praticabilità. A Prima Porta come al Verano, dove però almeno si vedono decespugliatori accesi e pure le reti arancioni tutte intorno alla porzione israelitica, con operai attivi nel ripristino del decoro a più di due anni dal crollo di un pino che l’ha devastata. Ma nei due cimiteri è il solo elemento di discontinuità in uno scenario che racconta di strutture quasi allo sbando, con poche risorse, e ancor meno personale. Mentre prosegue il piano per creare una società partecipata di secondo livello che si occupi a tempo pieno dei cimiteri romani: al momento è stata creata una divisione ad hoc, ma «entro settembre» potrebbe essere varata la nuova azienda in modo da assicurare alle strutture la giusta attenzione. Che al momento non c’è, o almeno non si vede.