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Buoni pasto, i negozi non li amano. Confintesa: “Diamo quei soldi al lavoratore” – Extra – Lunedì 11 marzo 2024

I lavoratori li apprezzano, non fosse altro che per il fatto di essere un piccolo benefit del valore di qualche centinaia di euro che va a sommarsi allo stipendio mensile; i commercianti invece li sopportano un po’ meno, anche se apertamente nessuno ammetterà mai di dover fare i conti con regole molto rigide e commissioni troppo elevate.

Ma i buoni pasto sono una realtà sempre più diffusa, soprattutto tra i dipendenti di enti e istituzioni pubbliche e aziende medio-grandi. Tecnicamente, sono dei titoli di pagamento di valore predefinito che vengono forniti dal datore di lavoro, pubblico o privato, ai propri dipendenti in assenza di una mensa interna. Questi buoni possono essere utilizzati in bar e ristoranti per pagare in toto o in parte il pasto oppure al supermercato per l’acquisto di generi alimentari: disponibili in formato cartaceo, elettronico e digitale, hanno un valore economico predefinito e limiti di esenzione differenti e vanno utilizzati entro la data di scadenza stabilita, altrimenti non saranno più accettati.

Secondo alcune stime recenti questi buoni per la pausa pranzo sono utilizzati quotidianamente da quasi quattro milioni di italiani e funzionano sulla base di un meccanismo collaudato che coinvolge quattro soggetti principali: i fornitori che emettono i buoni (cioè le società che stampano i ticket e che poi si fanno carico di gestire i flussi di denaro e i rimborsi) e le aziende che li acquistano per i propri dipendenti, poi ci sono appunto i lavoratori che li usano e gli esercizi commerciali che li accettano. In realtà il processo che tiene in piedi questo business da 4 miliardi di euro è la praticità: anzichè riconoscere direttamente in busta paga questo bonus o gestire un proprio servizio mensa, le aziende che decidono di affiliarsi al servizio pagano il corrispettivo alla società che stampa e distribuisce i buoni pasto ai lavoratori, che li useranno per pagare le proprie consumazioni (ovviamente in base al valore nominale del bonus) al ristoratore che però, prima di incassare il denaro, dovrà restituire i ticket alla società che li ha emessi.

E qui ci sono i motivi di insoddisfazione di molti commercianti, che sono costretti ad accettare i buoni pasto per non perdere potenziali clienti ma non sempre hanno convenienza ad aderire a questi circuiti. Per il titolare di un locale o per un negozio convenzionato, accettare questa forma di pagamento comporta una gestione specifica, inclusa la contabilizzazione, l’incasso e la fatturazione secondo le regole che vengono imposte dalla società emettitrice dei ticket.

Certo gli esercenti convenzionati possono godere di vantaggi come una contabilizzazione più rapidai e riduzione del rischio di smarrimento o furto dei buoni e di essere più attrattivi nei confronti di quei lavoratori che li usano ma, a seconda delle aziende con cui si convenzionano devono accettare i tempi di pagamento imposti che possono oscillare dai 30 ai 90 giorni con punte, in passato, fino a 180 giorni. E c’è di più perché al momento del rimborso i commercianti non incasseranno  neppure l’intero valore del buono, perchè dovranno riconoscere alla società che li emette una percentuale il cui importo dipende dal contratto stipulato con il fornitore.

Un mecccanismo che, al di là delle perplessità nutrite da una parte della filiera commerciale che vi aderisce, in passato ha anche mostrato più di un problema come conferma il crack finanziario nel 2019 di Qui!Group, la società di buoni pasto fondata da Gregorio Fogliani e fallita con un passivo di oltre 600 milioni di euro o in tempi più recenti l’indagine per truffa a carico di Edenred Italia, accusata dalla Guardia di Finanza di aver fatto sottoscrivere agli esercizi commerciali convenzionati accordi paralleli rispetto a quelli previsti dalla gara bandita da Consip, ovvero la centrale acquisti della pubblica amministrazione italiana che trattava il servizio per i dipendenti pubblici.

Casi eclatanti su cui la magistratura farà il suo corso ma che hanno riacceso i riflettori dei dubbi sull’opportunità di continuare a tenere in vita questo meccanismo. Tra le voci più critiche c’è Confintesa Fp, una delle più importanti sigle sindacali del pubblico impiego che da tempo critica il sistema dei buoni pasto. Ospite di Claudio Micalizio, in questa puntata di Extra, la segretaria generale Claudia Ratti rilancia la proposta di inserire e liquidare il valore dei buoni pasto direttamente in busta paga esentandolo dalle tasse: “Nonostante le proteste e le ripetute segnalazioni – denuncia la referente di Confintesa – il sistema persiste generando un giro d’affari ingiustificato con impatti negativi su aziende, amministratori e lavoratori“.

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