Il Festival dell’omologazione
Si è conclusa la 74esima edizione del festival di Sanremo e, come accade ormai da molti anni, la musica è passata in secondo piano, sovrastata da gossip e polemiche, il più delle volte create ad arte allo scopo di alzare lo share. Insomma anche quest’anno finiremo per ricordarci più del ballo del qua qua di John Travolta e della immancabile polemica sul televoto che della qualità dei brani musicali in concorso.
Si dice spesso che Sanremo sia lo specchio del Paese ma forse è, più verosimilmente, la rappresentazione messa in piedi da chi tira le fila dell’industria culturale e musicale del Paese. Da decenni in Italia si assiste a un incessante appiattimento e omologazione. Nell’epoca dei talent show e della musica consumata sulle piattaforme digitali è scomparsa la figura dell’artista ribelle e del cantautore impegnato, che pure ha caratterizzato la storia della canzone italiana.
L’arte sotto censura si abituata ad essere docile
Quanto accaduto durante il periodo pandemico è l’esempio lampante della mancanza di personalità coraggiose nel mondo dell’arte. Sono state poche le voci in grado di denunciare le anomalie e la cattiva gestione dell’emergenza. Ci provò il tenore Andrea Bocelli. In un convegno dal titolo “Covid-19 in Italia, tra informazione scienza e diritti“, tenutosi al Senato nel luglio 2020, il noto cantante espresse le proprie critiche su lockdown e misure restrittive: fu costretto a pubbliche scuse pochi giorni dopo, eppure adesso sappiamo dai dati ufficiali che nei paesi che hanno imposto chiusure forzate e in quelli che non lo hanno fatto, si sono registrate curve epidemiologiche analoghe. Su tutti ricordiamo lo studio condotto dal professor John Ioannidis, il numero 1 al mondo tra gli epidemiologi per indice di ricerche scientifiche pubblicate, cattedratico della prestigiosa università di Stanford.
Con l’avvento del green pass, la maggior parte degli artisti, anziché ribellarsi ad uno strumento rivelatosi incapace di proteggere dal contagio, hanno chiesto più green pass per tutti. La petizione alle Istituzioni fu quella di aprire i teatri e i palazzetti con capienza al 100%, con tutto il pubblico munito di tessera verde.
La musica fuori dal coro
Viene da chiedersi: se queste limitazioni alle libertà personali fossero state imposte negli anni sessanta o settanta, cosa avrebbero fatto e detto i Beatles, Bob Dylan oppure Fabrizio De André, Giorgio Gaber o Rino Gaetano per restare in Italia?
Oggi, nel 2024, all’industria culturale non piacciono più le voci fuori dal coro. E l’unico modo per ascoltare musica ribelle è cercarla ben lontana dai circuiti ufficiali del flusso dominante.
A “Camelot, una Tavola rotonda per la Verità” ospitiamo tre musicisti che si sono ribellati alla dittatura del pensiero unico: Hyst, Rocco e Margherito.