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Ristoratrice morta nel fiume Lambro: davvero l’odio online può uccidere? – Extra – Giovedì 18 gennaio 2024

La drammatica vicenda di Giovanna Pedretti, la ristoratrice 59enne di Sant’Angelo Lodigiano che si sarebbe tolta la vita per le critiche e gli insulti ricevuti dai media e sui social per la recensione omofoba che qualcuno sospetta possa essere stata inventata per fare pubblicità al suo locale, ha riacceso il dibattito sull’opportunità di introdurre nuove regole per limitare gli effetti più pericolosi della rete.

L’espressione più volte evocata per descrivere il trattamento mediatico che avrebbe spinto la donna al suicidio è “gogna mediatica“, una rivisitazione in chiava moderna della pena che in Europa pare fosse in uso già dal IX secolo: le gogne erano allestite nelle piazze di mercato e negli incroci per bloccare criminali di poca importanza, cui spesso veniva appeso al collo un cartello che spiegava il motivo per il quale il pregiudicato doveva scontare la pena esponendolo al pubblico ludibrio. Più o meno quanto acccade oggi in rete, quando qualcuno si sente in dovere di additare altre persone per i propri comportamenti e le proprie azioni scatenando subito le reazioni del pubblico connesso.

L’argomento da tempo fa discutere anche gli esperti: nel 2015, per esempio, l’autore inglese Jon Ronson aveva pubblicato un libro dal titolo “I giustizieri della Rete” in cui raccontava di come Facebook e Twitter, che all’epoca erano i social network più popolari,  alimentassero i peggiori istinti moralizzatori delle persone contribuendo a creare appunto una versione moderna e violentissima della storica gogna pubblica. Con il passare del tempo altre piattaforme si sono aggiunte e così sono aumentate ulteriormente le piazze mediatiche dove imbandire processi sommari contro i malcapitati di turno, qualunque siano le loro responsabilità.

Perché la rete giudica senza sapere: il pubblico commenta sulla base delle proprie idee, delle proprie simpatie, di una suggestione anche passeggera e non si pone neppure il problema di capire cosa sia capitato e per quale motivo. E proprio perché ormai i social danno a tutti libertà di parola, spesso chi commenta non si pone neanche il problema di essere fuori luogo o di ignorare nozioni che invece sarebbero auspicabili per farsi una ragione delle questioni di cui magari si sta discutendo.

Il risultato è una campagna di odio e di critiche che viene definita “shitstorm” e che sul web non risparmia nessuno: personaggi famosi e illustri sconosciuti, persone colpevoli e innocenti, ricche e povere, oneste e disoneste. Tutti finiscono nell’ingranaggio del web che come un ventilatore sparge fango ovunque lasciandone tra l’altro traccia imperitura nel web: “Questo meccanismo – ha recentemente spiegato Manolo Farci, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università di Urbino – viene chiamato ‘name and shame’ e consiste nel denunciare sui social una o più persone per un comportamento ritenuto inaccettabile con l’obiettivo di ‘dare loro una lezione’, aizzando gli utenti con parole di odio, minacce di morte o rivelando dati personali”.

Gli effetti possono essere devastanti, fuori e dentro la rete, se è vero che per i sociologi una campagna di odio in grado di sollevare accuse e insulti da parte dell’opinione pubblica può addirittura portare ad una sorta di “morte sociale” per chi ne è vittima: il vero problema, però, è che non tutti reagiamo allo stesso modo e, quindi, le cicatrici di questi attacchi spesso vanno oltre la dimensione digitale e restano incise anche nell’anima di chi ne è stato bersagliato, con conseguenze gravissime per la psiche del malcapitato.

E’ forse quanto accaduto anche nel caso di Giovanna Pedretti, che secondo le ipotesi investigative potrebbe essersi tolta la vita dopo la valanga di critiche e insulti alimentata dal sospetto che la recensione omofoba da cui tutto era scaturito potesse essere fasulla, studiata a tavolino per farsi pubblicità. In poche ore la ristoratrice di Sant’Angelo Lodigiano si è ritrovata dagli allori alla polvere: prima celebrata da tutti i media per aver stigmatizzato le parole di un cliente che si lamentava di aver mangiato seduto ad un tavolo vicino ad una coppia omosessuale e ad un ragazzino disabile e poi travolta dagli insulti e dalle critiche dopo i sospetti alimentati da Selvaggia Lucarelli e Lorenzo Biagiarelli, i due influencer che per primi hanno messo in dubbio la versione raccontata dalla donna.

Proprio quella girandola di emozioni così violente deve aver stravolto Giovanna: convocata dai carabinieri ha smentito ogni accusa, lei che da sempre organizza iniziative solidali e che con la famiglia gestisce un locale che non ha bisogno di pubblicità gratuita e che in tanti altri casi sul web aveva dimostrato di non aver paura a criticare alcuni clienti. Ma dentro di lei, probabilmente, qualcosa si è rotto e così sabato è tornata a casa scossa e a nulla sono valse le rassicurazioni dei familiari e dei tanti amici e clienti che la conoscono da sempre come una persona perbene: alle 4 di domenica mattina, la donna è uscita di casa con delle lamette e dopo essersi inferta dei tagli in auto si è gettata nel Lambro.

Poche ore fa l’autopsia, disposta dalla procura di Lodi per raccogliere elementi asostegno dell’ipotesi investigativa di istigazione al suicidio, ha confermato: le cause della morte della vittima sono compatibili con l’annegamento mentre le ferite inferte con le lamette sono superficiali. Ora, mentre la magistratura indaga e sul web gli haters hanno già rivolto i loro strali contro la coppia Lucarelli – Biagiarelli, anche la politica scende in campo e propone nuove regole per combattere gli insulti sul web.

Ma davvero la rete può essere così cattiva da spingere qualcuno a togliersi la vita? E nuove leggi potrebbero cambiare la situazione? In questa puntata di Extra, Claudio Micalizio incontra Cristian Romaniello, psicologo autore del libro “Psicologia di un suicidio. Elementi di studio del fenomeno suicidario”.

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