25 novembre, Giornata Internazionale contro la violenza sulle Donne: c’era bisogno di una data per ricordarsene?
Ospite in collegamento Cinzia Giorgio, direttrice di “Pink Magazine Italia”
Istituita per volere dell’ONU, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne richiede a gran voce un intero giorno dedicato alla fine della violenza. La scintilla? Un evento di 50 anni fa: nel 1960, nella Repubblica Dominicana, lo stesso giorno furono assassinate le tre sorelle Mirabal, attiviste politiche.
Il fenomeno del “femminicidio” indica l’interruzione della vita di una donna attraverso un omicidio. Questo termine, di natura anglofona, femicide, viene introdotto per la prima volta dalla criminologa femminista Diana H. Russel in un articolo del 1992.
Russel definì la consuetudine di un delitto di donne perpetrato dagli uomini solo per il fatto di essere donne. Il fine era quello di portare all’attenzione gli studi fatti da criminologhe femministe che avevano indagato su decessi di donne tra i 16 e 40 anni, assassinate per mano di conoscenti.
Queste morti erano considerate una sorta di punizione verso coloro che si erano autodeterminate, avevano trasgredito al ruolo sottomesso imposto loro dalla tradizione.
Il termine entra a far parte del linguaggio mediatico e di uso quotidiano. In alternativa all’omicidio di donne, per dare un significato e una profondità a un’azione compiuta come estrema forma di violenza diretta verso una donna in quanto tale.
Il suo fondamento infatti è nella violenza sessista dell’uomo e rappresenta un problema sociale legato alla discriminazione e disuguaglianza nei confronti della donna. Secondo un rapporto del 2012 alle Nazioni Unite, gli omicidi basati sul genere, in qualunque forma e manifestazione, continuano a essere socialmente tollerati e accettati, raggiungendo proporzioni allarmanti a livello mondiale.
È difficile per una donna, ancora oggi, parlare della violenza subita, sia dal partner che da estranei, e ancora più difficile è denunciare. Sono poche quelle che cercano aiuto, o si rivolgono a un centro antiviolenza o servizi specializzati.
Molte sono le campagne di sensibilizzazione, per far circolare il messaggio che parlare, confidarsi, chiedere aiuto ai servizi dedicati sia una fonte d’aiuto, anche perché è ancora alto il numero di donne che non conoscono i centri antiviolenza o i servizi di supporto per le vittime.
A voler guardare gli ultimi numeri che riguardano le richieste di aiuto durante il periodo della “pandemia”, il quadro è davvero sconfortante. La testimonianza è redatta dai Centri Antiviolenza. Gli studi fotografati dall’ISTAT confermano che durante la fase del lockdown, dove le convivenze sono state forzate, le pregresse situazioni violente si sono ulteriormente inasprite a causa di fenomeni come la perdita del lavoro delle donne o del compagno.
Si parla di oltre 20.000 utenti che hanno cercato un contatto, attraverso il contatto telefonico del 1522 o chat. Ci sono state 15.128 chiamate nel 2020, un incremento pari al 79,5%, di 2.361 chat con un aumento del 71%.
Il picco si è registrato a fine marzo, raggiungendo un picco a maggio, per scemare nei mesi successivi e riprendere consistenza intorno a novembre, soprattutto nella settimana in cui partivano le campagne informative riguardanti il 25 novembre, giornata dedicata alla violenza sulle donne.
In aumento i casi di ragazze nella fascia fino ai 25 anni, con l’11,8% e di donne di età superiore ai 55, con il 23,2%. Sono aumentati anche i casi di violenza in famiglia, ma restano invece invariate le percentuali che riguardano le violenze da parte dei partner che ammonta al 57%. Le vittime sono state 112 nel 2020 e 83 a novembre 2021, uccise soprattutto in ambito familiare/affettivo.
L’eclettismo fiabesco di Roma: dal Quartiere Coppedè alla Casina delle Civette a Villa Torlonia
Ogni angolo della Città Eterna può stupire, ma allontanandosi dal centro battuto dalla maggior parte dei visitatori, la meraviglia nello scoprire l’inaspettato tra le costruzioni dei rioni moderni è sicuramente maggiore. È la sensazione che si prova quando attraversando la zona Nomentana, tra piazza Buenos Aires e via Tagliamento, e ci si imbatte nel quartiere Coppedè.
In verità non è un quartiere in senso stretto, ma più un agglomerato di architetture insolite, eccentriche e sorprendenti, progettate, tra il 1915 e il 1927, dal fiorentino “architetto decoratore” Gino Coppedè (da cui l’area ha preso il nome), e ben lontane dallo stile razionalista dell’epoca.
Si entra nel “quartiere” da via Dora, passando sotto un grande arco monumentale che congiunge due palazzi detti “degli ambasciatori” ed è impossibile non osservarsi intorno, con il naso all’insù, per cogliere i particolari di quegli edifici che – loggiati, decorazioni, archi e torrette – sono eco del Liberty, ma anche del Barocco e del Medioevo. Sotto l’arco, al centro, si può ammirare un grande lampadario in ferro battuto incastonato nel soffitto decorato.
Basta spostarci di una decina di minuti e su via Nomentana vediamo affacciare il parco di Villa Torlonia, la cui fama era dovuta al fatto che essa fu la residenza privata romana di Benito Mussolini. Oggi è sede museale, oltre un rilassante luogo in mezzo alla natura nel caos cittadino, ma ai margini del parco, nascosta da una collinetta artificiale, si scorge la Casina delle Civette, dimora del principe Giovanni Torlonia jr fino al 1938, anno della sua morte.
Il villino dalle architetture molto singolari, è il risultato di una serie di trasformazioni apportate alla ottocentesca Capanna Svizzera che costituiva in origine un luogo di evasione rispetto all’ufficialità della residenza principale.
Ideata nel 1840 da Giuseppe Jappelli su commissione del principe Alessandro Torlonia, si presentava come romantico e rustico rifugio di sapore alpestre. Poi, dal 1908, i progressivi interventi voluti dal nipote Giovanni Torlonia jr, assumendo l’aspetto e la denominazione di “Villaggio Medioevale”.
I lavori diretti dall’architetto Enrico Gennari fecero del villino una raffinata residenza con grandi finestre, loggette, porticati, torrette, con decorazioni a maioliche e vetrate colorate. Sarà a partire dal 1916 che prenderà il nome di “Villino delle Civette” per la presenza della vetrata con due civette stilizzate tra tralci d’edera, eseguita da Duilio Cambellotti e per il ricorrere quasi ossessivo del tema della civetta nelle decorazioni e nel mobilio, voluto dal principe Giovanni, uomo scontroso e amante dei simboli esoterici.
La bellezza salverà il mondo: terapeutica e rassicurante
La bellezza non è la panacea di tutti i mali. La bellezza non è un supereroe, né l’antidoto alle guerre e alle violenze del mondo. Eppure il suo potere è noto fin dai tempi in cui disegnavamo animali sulle pareti delle caverne. Fin dai tempi in cui non sapevamo né leggere, né scrivere, né usare strumenti che oggi sono scontati: dalle posate alla carta da parati.
Non servono pomposi e ridondanti studi per stabilire che ciò che riteniamo bello abbia un potere immenso su di noi. La Cappella Sistina, la Gioconda ma anche il tramonto in riva al mare o un libro e un film che amiamo sono a volte un balsamo potentissimo contro le ferite dell’anima. E questa sensibilità la possiedono tutti. Tutti pensiamo a un qualcosa di preciso quando sentiamo la parola: bellezza.
E proprio per parlare di bellezza, è iniziata una rubrica su Pink Magazine Italia: ogni mese verrà proposto un dipinto, una scultura o un luogo in cui si racchiude tutta la bellezza del mondo. E questi articoli avranno i commenti visibili in modo che possiate interagire. E magari riempire il mondo di bellezza.
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