Viviamo tempi complicati e ce ne accorgiamo anche senza essere esperti di geopolitica o economia: due guerre ai confini dell’Europa e potenzialmente in grado di innescare conflitti su scala più ampia – se non addirittura mondiale – e tutte le ripercussioni economiche che, dall’aumento delle materie energetiche in poi, si sono riversate a cascata su bollette e carrello della spesa ci hanno ricordato che nella società globalizzata tutto è collegato e che le situazioni di tensione possono nuocere anche alla nostra quotidianità.
Sarebbe conveniente per tutti, anche per chi magari non è interessato alle sorti dell’Ucraina o al conflitto israelo-palestinese – con i rispettivi massacri di vite umane -, disinnescare in tempi rapidi le crisi e scongiurare un allargamento del conflitto e, invece, così non è. Anzi: per mesi la parola “pace” è stata tabù nel dibattito politico, almeno in Italia, e per chi la auspicava semplicemente per puro spirito umanitario e solidale nei confronti delle vittime civili era pronta l’etichetta di essere filorusso e insensibile alle sorti del popolo ucraino. Un automatismo, alimentato dalla politica e da una parte della stampa, che ha riservato lo stesso trattamento anche a Papa Francesco che, come la sua Chiesa, ha sempre propugnato la pace, qualunque fosse la guerra e le forze in campo.
Ma anche ora che i sondaggi fotografano un crescente disinteresse dell’opinione pubblica verso le guerre in corso e, anzi, aumentano le critiche alla scelta di partecipare ai conflitti anche solo con l’invio di armi, i leader della terra adottano una linea di maggiore cautela ma ancora non premono sull’acceleratore della diplomazia per agevolare una soluzione diplomatica. E così in questo immobilismo globale, al netto della missione incessante condotta dalla Chiesa Cattolica, suona curioso che a portare avanti il tentativo di una trattativa di pace sia di fatto soltanto la Cina con il sostegno della Russia: paesi spesso visti con diffidenza anche da una parte dell’opinione pubblica ma il cui attivismo sembra confermare come qualcosa stia cambiando a livello geopolitico oltre che economico, dato che proprio Mosca e Pechino da mesi stanno anche cercando di compattare e allargare il fronte dei paesi cosiddetti BRICS, cioè il gruppo delle economie emergenti che recentemente ha imbarcato alcuni stati arabi per contrapporsi all’egemonia del dollaro. E questo a conferma di come geopolitica ed economia vadano ormai sempre più a braccetto.
Temi che non a caso sarannoal centro della Conferenza Internazionale di Pace in programma a Roma il 27 e 28 ottobre: non ci saranno capi di stato e di governo, a conferma di come la linea della soluzione non violenta dei conflitto oggi ancora non interessi agli stati, ma decine di associazioni e movimenti politici che da tutto il mondo hanno scelto di ritrovarsi nella capitale per formulare una strategia di pace da condividere con i rispettivi capi di Stato. Come già nella puntata di ieri, anche oggi a Extra sono ospiti di Claudio Micalizio il portavoce del Fronte del Dissenso, Marco Pasquinelli, e l’ex ambasciatore Alberto Bradanini, diplomatico di lungo corso con esperienze di rappresentanza presso le ambasciate italiane in Iran e in Cina per spiegarci come il summit romano cercherà di tradurre in atti concreti questa mobilitazione “dal basso” contro la minaccia di una terza guerra mondiale.