In provincia di Viterbo è di nuovo allarme per la presenza di arsenico nella rete idrica e così, mentre alcune amministrazioni comunali hanno dovuto ancora una volta proibire l’uso dell’acqua del rubinetto per gli usi alimentari, i cittadini chiedono alle istituzioni di farsi carico di un problema di lungo corso che ancora, però, viene gestito come un evento imprevisto ed imprevedibile.
In realtà non è così: le località che devono fare i conti con l’arsenico nell’acqua sono 127 in Italia (91 solo nel Lazio) e già nel 2010 il Governo dovette proclamare lo stato di emergenza per il superamento dei limiti tollerati dalle normative sanitarie. Da allora però il problema si è periodicamente riproposto e ora il comitato “Non ce la beviamo” passa al contrattacco chiedendo alla Regione di dare attuazione ad una serie di iniziative che permetterebbero di risolvere forse definitivamente il problema. In questa puntata di Extra, Claudio Micalizio ne parla con Paola Celletti, portavoce dell’associazione che di fronte all’immobilismo delle istituzioni ha chiesto aiuto agli esperti dell’Università della Tuscia scoprendo che è possibile avere un’acqua di migliore qualità e con il minor quantitativo di arsenico anche ricorrendo al prelievo da nuove falde, in particolare presenti nell’ area cimina, non contaminate da arsenico e quindi con minori rischi per la salute umana.
L’arsenico infatti è un semi-metallo molto diffuso in natura (nell’atmosfera, nel suolo, nelle rocce, nell’acqua, negli organismi ed in quasi tutti i tessuti animali e vegetali) ma molto pericoloso per l’uomo perché tossico e cancerogeno: e, come rilevano gli esperti, l’unico modo per entrarvi in contatto e proprio l’ingestione attraverso l’acqua potabile. Ma con quali conseguenze? Uno studio commissionato nel 2010 sulla popolazione del Lazio interessata al problema ha evidenziato un eccesso di malattie e di mortalità in caso di prolungata esposizione e alte concentrazioni di arsenico: tra le patologie letali aumentate vi sono tumori maligni (ai polmoni, al fegato, alla vescica e ai reni), malattie cardiovascolati e neurologiche (ischemie, infarti, ictus), problemi respiratori e diabete.
Eppure, nonostante sia dal punto di vista della sanità pubblica un problema di rilevanza internazionale che interessa tutti i continenti, ancora non esiste una strategia che consenta di risolvere la situazione in modo efficace. Il caso del Lazio è, in tal senso, drammaticamente emblematico: ad oggi, infatti, nessuna amministrazione regionale ha mai disposto un monitoraggio dei giacimenti idrici sotterranei che permetta di scoprire se vi siano nuovi bacini utilizzabili dalla popolazione. Non a caso il Comitato “Non ce la beviamo” ha chiesto alle istituzioni di fare pressing sulla giunta Rocca affinchè promuovano le necessare verifiche nel sottosuolo laziale.