Pensi al precariato e ti vengono in mente tutti quei lavori che sono rinnovati con contratti a termine o, addirittura, a chiamata se non “in nero” e che, spesso, vengono associati alle imprese più piccole e fragili o addirittura ad ambienti dove la legalità non sempre viene garantita.

Mai, insomma, penseresti che anche la pubblica amministrazione, il regno del “posto fisso”, possa avere i propri lavoratori precari e qui c’è un primo, clamoroso errore di valutazione perché le statistiche dicono il contrario: secondo gli ultimi dati disponibili diffusi da Istat, il 28 dicembre 2022 lo Stato contava 421.929 dipendenti a tempo determinato (l’11,7%) e 205.420 non dipendenti (il 5,7%) a fronte di 2.974.360 dipendenti a tempo indeterminato. Un esempio su tutti riguarda la scuola, settore che da decenni rivive ogni autunno la stessa problematica: mancano i docenti di ruolo e si deve ricorrere alle supplenze che però non sempre vengono reclutate velocemente, con il risultato che talvolta le cattedre restano vuote per parecchie settimane. Ma anche la sanità deve fare i conti con una cronica carenza di personale che solo in parte viene sopperita dal coinvolgimento di lavoratori precari se non addirittura, in tempi più recenti, dal personale medico e paramedico arruolato dalle cooperative che operano di fatto come intermediarie.

E se il precariato sembra non risparmiare nessuna delle Amministrazioni dello Stato (dai ministeri alle regioni, dalle Province alle città metropolitane per non parlare dei Comunie degli altri enti territoriali) un mondo a parte riguarda le aziende controllate dallo Stato in tutte le le sue ramificazioni. E qui c’è un caso che periodicamente fa capolino nel dibattito politico e riguarda i collaboratori di Poste Italiane che, certo, è una società per azioni ma è controllata a maggioranza dal Ministero dell’economia e delle finanze e da Cassa depositi e prestiti (a sua volta controllata in via diretta dal MEF): l’azienda che un tempo garantiva la consegna della corrispondenza postale e che oggi è diventata sempre più multiservizi soprattutto in ambito finanziario, conta una graduatoria di oltre 10mila precari in attesa di stabilizzazione.

Non è la prima volta che i precari di Poste chiedono più tutele e puntano il dito contro i sindacati accusati di posizioni troppo soft nei confronti dell’azienda. Per questo motivo qualche tempo fa è nato “Lottiamo insieme”, un nuovo movimento che vuole dare voce a quanti abbiano lavorato per il gruppo postale accettando turni pesanti e straordinari non retribuiti nella speranza di poter poi essere stabilizzati una volta conclusi i periodi dei vari contratti a termine. Anche il Governo per ora sembra sordo davanti alle richieste dei lavoratori: interrogato lo scorso 17 maggio dall’onorevole Aboubakar Soumahoro, l’esecutivo non ha fornito risposte chiare in merito al destino degli oltre 10mila stabilizzandi che galleggiano nella graduatoria. Ma il numero degli ex precari è ancora più consistente se si contano anche coloro che hanno lavorato per poste negli ultimi cinque anni e che comunque, poi, non hanno chiesto la stabiizzazione perchè, magari, hanno cambiato lavoro: secondo i dati della Corte dei Conti, i contratti a tempo determinato stipulati in un lustro da Poste Italiane Spa sono stati oltre  63.200. 

In questa puntata di Extra, ospiti di Claudio Micalizio intervengono Andrea Fasano, promotore del movimento “Lottiamo Insieme”, e Carmine Pascale, ex lavoratore precario di Poste Italiane, che è stato uno dei pochi dipendenti dell’azienda a ricorrere in tribunale contro le modalità di gestione del personale.